Alzi la mano chi non ha mai avuto quella conversazione. Sai, quella in cui inizi a raccontare del tuo weekend disastroso e, nel giro di trenta secondi, il tuo interlocutore è già partito con la saga epica delle sue ultime sei vacanze. Oppure menzioni un problema al lavoro e boom: ecco che ti ritrovi a sentire l’autobiografia completa della sua carriera, con tanto di dettagli su quel collega del 2003 che probabilmente nemmeno lui ricorda bene.
Se ti è mai capitato di sentirti come un pubblico a pagamento invece che un partecipante attivo alla conversazione, tranquillo: non sei solo. E soprattutto, c’è una spiegazione psicologica piuttosto affascinante dietro questo comportamento che va ben oltre il semplice “questa persona è maleducata”.
Quando l’Egocentrismo Infantile Diventa Un Problema Da Adulti
Ricordi quando avevi tre o quattro anni e credevi che tutti vedessero il mondo esattamente come lo vedevi tu? No? Beh, è normale, ma fidati: è successo. Jean Piaget, uno dei padri della psicologia dello sviluppo, ha descritto questa fase chiamandola egocentrismo cognitivo, un momento dello sviluppo infantile in cui i bambini non riescono ancora a capire che gli altri possono avere punti di vista diversi dai loro.
La maggior parte di noi supera questa fase crescendo. Impariamo che gli altri hanno pensieri, emozioni ed esperienze diverse dalle nostre. Sviluppiamo quella che gli psicologi chiamano capacità di prospettiva, ovvero riusciamo a metterci nei panni altrui. Ma ecco il colpo di scena: alcune persone non completano mai del tutto questo passaggio.
Negli adulti, questo egocentrismo si manifesta in modi specifici e piuttosto riconoscibili. La persona egocentrica fatica a cogliere le prospettive altrui e tende a interpretare ogni situazione attraverso il filtro esclusivo della propria esperienza. Quando tu parli, loro non stanno davvero ascoltando: stanno aspettando il momento giusto per raccontare la loro versione, che ovviamente è sempre più interessante, più drammatica o più rilevante della tua.
Il Gioco del Rimbalzo Conversazionale
Gli studi sulla psicologia della comunicazione hanno identificato quello che viene chiamato “egocentrismo del linguaggio”. In pratica, è quando una persona usa le conversazioni principalmente come vetrina per sé stessa, per impressionare gli altri e aumentare la propria autostima. Il paradosso? Questo comportamento nasconde spesso profonde insicurezze personali.
Esatto, hai letto bene. Chi parla costantemente di sé non lo fa perché si sente un fenomeno, ma spesso proprio per il motivo opposto. Ogni aneddoto personale, ogni storia che riporta il discorso su di sé diventa un mattoncino per costruire un’immagine accettabile agli occhi degli altri. E soprattutto, ai propri occhi.
L’Es Che Mangia Tutto Lo Spazio Conversazionale
Sigmund Freud parlava di tre parti della personalità: l’Io, il Super-Io e l’Es. Quest’ultimo rappresenta la parte più istintuale e primitiva di noi, quella che vuole soddisfazione immediata dei propri bisogni senza pensare troppo alle conseguenze o agli altri. In persone che monopolizzano sistematicamente le conversazioni, gli psicologi osservano spesso un predominio degli impulsi legati all’Es.
Tradotto dal freudiano all’italiano: i loro bisogni personali prevalgono su tutto il resto. Il desiderio di essere visti, ascoltati e riconosciuti è così forte che non c’è spazio mentale per considerare i bisogni degli altri. È come se avessero un serbatoio emotivo bucato: per quanto riconoscimento ricevano, non riescono mai a trattenerlo abbastanza.
Queste persone hanno un bisogno quasi compulsivo di validazione. Ogni conversazione diventa un’opportunità per ottenere quella dose di approvazione che, per qualche motivo, non riescono a darsi da soli. E qui arriviamo al punto cruciale.
La Bassa Autostima Mascherata da Sicurezza
Heinz Kohut, psicoanalista che ha sviluppato la teoria del Sé, ha spiegato come l’auto-riferimento costante possa essere un meccanismo di difesa contro l’insicurezza profonda. In sostanza, raccontare continuamente di sé, dei propri successi e delle proprie esperienze è un modo per convincere prima sé stessi, e poi gli altri, di avere valore.
È come se ogni conversazione fosse un esame da superare. Devono costantemente dimostrare di essere interessanti, competenti, degni di attenzione. Dietro quella facciata di sicurezza e quelle storie infinite si nasconde spesso una fragilità che cerca disperatamente compensazione.
Riconoscere i Segnali Del Narcisismo Conversazionale
Attenzione: non stiamo parlando necessariamente di Disturbo Narcisistico di Personalità, che è una condizione clinica seria descritta nel manuale diagnostico DSM-5. Stiamo parlando di tratti narcisistici o di quello che viene definito narcisismo conversazionale, un pattern comportamentale in cui la persona domina le interazioni verbali con un focus costante su sé stessa.
Esistono due tecniche classiche che queste persone usano, spesso senza nemmeno rendersene conto. La prima è il topping: quella tendenza a rispondere a ogni storia con una storia personale ancora più impressionante. Hai fatto una vacanza? Loro ne hanno fatta una migliore. Hai avuto un problema? Loro ne hanno affrontato uno peggiore. È una competizione continua dove il premio è monopolizzare l’attenzione.
La seconda tecnica è il redirecting, ovvero l’arte di reindirizzare qualsiasi argomento verso la propria esperienza personale. Puoi iniziare a parlare di politica internazionale e in qualche modo finirai a sentire la storia di quando hanno conosciuto uno che aveva un cugino che lavorava all’estero. Non importa quanto l’argomento sia lontano dalla loro vita: troveranno sempre un modo per inserire un “a proposito di questo, io…”.
Il Deficit di Empatia Che Cambia Tutto
Uno degli aspetti più problematici di questo comportamento è la carenza di empatia relazionale che lo accompagna. L’empatia non è solo sentire le emozioni altrui, ma anche riconoscere e validare le esperienze degli altri come importanti quanto le proprie.
Chi monopolizza le conversazioni spesso non coglie i segnali sociali: non si accorge che l’altro vorrebbe parlare, che sta condividendo qualcosa di importante, che il continuo interrompere crea disagio. Quando rispondi a una confidenza personale con un “ah sì, a me è successo questo…”, spostando immediatamente l’attenzione su di te, stai comunicando all’altro che la sua esperienza non conta davvero.
Questo deficit non è necessariamente intenzionale o malvagio. Spesso è proprio quella incapacità di decentrarsi cognitivamente, quell’eredità dell’egocentrismo infantile mai completamente superato, a impedire di cogliere la prospettiva altrui.
Da Dove Arriva Questo Comportamento
Le radici sono spesso da cercare nell’infanzia. Secondo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby, carenze relazionali precoci possono portare a strategie iperattive per ottenere attenzione. In pratica, se da bambino non ti sei sentito sufficientemente visto o ascoltato, potresti aver imparato che devi “urlare” metaforicamente per ottenere attenzione. E questo schema si cristallizza nel tempo.
In altri casi, il problema nasce da un ambiente familiare in cui l’autostima veniva costruita esclusivamente attraverso risultati e performance. La persona impara che il proprio valore è legato a ciò che fa e racconta di sé, non a ciò che è intrinsecamente. Ogni conversazione diventa quindi un palcoscenico dove dimostrare continuamente il proprio valore.
C’è anche una componente culturale moderna da considerare. I social media hanno normalizzato l’auto-promozione costante. Studi recenti hanno mostrato che l’uso intensivo delle piattaforme social amplifica i tratti narcisistici e l’auto-riferimento anche nelle interazioni faccia a faccia. Siamo costantemente esposti alla necessità di “raccontarci” online, e questo ha esacerbato tendenze che in altri contesti storici sarebbero state considerate eccessive.
Come Riconoscere Se Qualcuno Nella Tua Vita Ha Questo Pattern
Ci sono alcuni segnali distintivi piuttosto chiari. Il primo è la simmetria conversazionale, o meglio, la sua assenza totale. In un dialogo equilibrato, il tempo di parola è distribuito in modo abbastanza equo. Se ti accorgi che una persona parla sistematicamente l’ottanta o novanta percento del tempo, hai trovato il tuo primo campanello d’allarme.
Secondo indicatore: osserva cosa succede quando condividi qualcosa di personale. Una persona con buone competenze relazionali farà domande, mostrerà interesse genuino, approfondirà ciò che hai detto. Chi ha questo pattern tenderà invece a usare la tua confidenza come trampolino di lancio per parlare di sé, spesso interrompendoti a metà o rispondendo con un rapido “ah okay” prima di cambiare argomento.
Terzo segnale: la mancanza di curiosità autentica. Queste persone raramente fanno domande aperte sulla tua vita, sui tuoi pensieri, sulle tue esperienze. E quando le fanno, spesso è solo cortesia di superficie. Puoi testarlo dando risposte vaghe: se non insistono per saperne di più, probabilmente non erano davvero interessati.
L’Impatto Emotivo Sulle Relazioni
Stare in relazione con persone che monopolizzano le conversazioni è emotivamente faticoso. Ti senti invisibile, non ascoltato, come se la tua esperienza non avesse valore. Con il tempo, questo porta a frustrazione, risentimento e alla sensazione di essere utilizzato come pubblico anziché considerato un interlocutore paritario.
Nelle amicizie, questo crea uno squilibrio dove una persona dà sempre sostegno emotivo e l’altra lo riceve senza mai restituirlo. Nelle relazioni romantiche, può generare una dinamica in cui un partner si sente costantemente trascurato. Sul lavoro, danneggia la collaborazione e crea tensioni nel team.
Il problema è che chi manifesta questo comportamento spesso non se ne rende conto. Dal loro punto di vista interno, stanno solo condividendo, partecipando, contribuendo con le loro esperienze. Non percepiscono il disequilibrio perché faticano ad assumere la prospettiva altrui.
Strategie Pratiche Per Gestire Queste Dinamiche
Se interagisci regolarmente con persone così, ci sono strategie concrete. La prima è porre limiti chiari e gentili. Puoi interrompere educatamente con frasi come “vorrei finire il mio pensiero” o “posso aggiungere una cosa prima che cambiamo argomento?”. Non aspettare che ti cedano spontaneamente lo spazio: probabilmente non succederà.
Un’altra tecnica è essere espliciti riguardo ai tuoi bisogni comunicativi. Prova con qualcosa come “ho bisogno di parlare di questa cosa che mi sta preoccupando, puoi ascoltarmi per qualche minuto?”. Inquadrare la richiesta in modo diretto aiuta chi altrimenti non coglierebbe i segnali impliciti.
È anche importante decidere quanto vuoi investire nella relazione. Se è un collega con cui interagisci sporadicamente, forse puoi accettare questa caratteristica. Se invece è un’amicizia stretta o una relazione romantica, potrebbe valere la pena avere una conversazione più profonda sul tema.
E Se Quella Persona Fossi Tu
Domanda scomoda: e se fossi tu quello che parla sempre di sé? Riconoscere questo pattern è il primo passo per cambiarlo. L’auto-consapevolezza è fondamentale, e se stai leggendo questo articolo con un pizzico di inquietudine, sei già avanti nel percorso.
Alcuni segnali da esplorare: gli altri sembrano annoiati quando parli? Le persone interrompono spesso le tue storie o cercano di cambiare argomento? Hai difficoltà a ricordare dettagli della vita degli altri perché sei concentrato su cosa dirai tu? Alla fine di una conversazione, sai dire cosa sta succedendo nella vita dell’altra persona?
Ci sono esercizi pratici che possono aiutare. Poniti un obiettivo quantificabile: fare almeno tre domande all’altro prima di parlare di te. Pratica l’ascolto riflessivo, ovvero ripeti o parafrasa ciò che l’altro ha detto prima di rispondere. Questo ti assicura di aver compreso e segnala che stai prestando attenzione.
Lavorare sulla propria autostima in modo profondo aiuta a ridurre il bisogno compulsivo di validazione esterna. Quando ti senti sicuro del tuo valore intrinseco, non hai più bisogno di dimostrarlo costantemente attraverso le parole.
L’Equilibrio Conversazionale Come Obiettivo
Le conversazioni sane sono come un gioco di tennis: la palla passa da una parte all’altra, entrambi i giocatori sono attivi, c’è scambio equilibrato. Quando qualcuno monopolizza il campo, il gioco si trasforma in un esercizio unilaterale che non diverte nessuno, nemmeno chi sta lanciando.
Sviluppare competenze conversazionali equilibrate richiede pratica e intenzionalità. Significa allenare l’ascolto attivo, quella curiosità genuina verso l’esperienza altrui che va oltre il desiderio di trovare punti di contatto con la propria vita. Significa imparare a tollerare i silenzi senza riempirli immediatamente con le proprie parole. Significa anche sentirsi abbastanza sicuri da poter cedere lo spazio agli altri senza temere di sparire o perdere valore.
La psicologia ci insegna che dietro ogni comportamento problematico c’è un bisogno legittimo espresso in modo disfunzionale. Chi parla sempre di sé ha bisogno di essere visto, riconosciuto, validato. Sono bisogni umani universali. Il problema non è il bisogno in sé, ma il modo in cui viene soddisfatto: attraverso una strategia che finisce per allontanare proprio le persone da cui si vorrebbe ottenere vicinanza.
Comprendere la psicologia dietro questo comportamento non significa giustificarlo quando impatta negativamente sulla nostra vita. Significa però guardarlo con occhi più compassionevoli, riconoscendo la vulnerabilità nascosta dietro quella facciata di verbosità autoreferenziale. E se quella persona siamo noi, significa darci il permesso di cambiare, sapendo che possiamo ottenere connessione e riconoscimento in modi più autentici.
Quindi, la prossima volta che ti trovi in una conversazione che gira sempre intorno alla stessa persona, fermati un momento. Chiediti: cosa sta davvero cercando questa persona? E cosa sto cercando io in questa relazione? Le risposte potrebbero guidarti verso scelte più consapevoli su come investire la tua energia relazionale e, se necessario, su come trasformare i tuoi stessi pattern comunicativi. Perché alla fine, tutti meritiamo di essere ascoltati. E tutti abbiamo la responsabilità di ascoltare.
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