Quando acquistiamo il salame al supermercato, tendiamo a considerarlo un prodotto semplice e diretto: carne stagionata, spezie, poco altro. Eppure, dietro quella denominazione generica si nasconde un mondo complesso che pochi consumatori conoscono davvero. La questione centrale riguarda un aspetto che dovrebbe essere trasparente ma che spesso rimane nell’ombra: quanto effettivamente è carne magra quello che stiamo portando a casa?
Oltre l’etichetta: cosa si nasconde nella denominazione
La denominazione di vendita rappresenta il primo strumento informativo per orientare le nostre scelte alimentari. Nel caso del salame, questa dicitura può apparire rassicurante nella sua semplicità, ma nasconde una lacuna informativa significativa. A differenza di altri prodotti alimentari dove le percentuali degli ingredienti principali sono evidenziate, il salame gode di una sorta di zona grigia normativa che non obbliga i produttori a specificare con chiarezza il rapporto tra carne magra, tessuto adiposo, acqua e additivi.
Questa mancanza di trasparenza ha conseguenze dirette sulle nostre tavole. Chi cerca di seguire un’alimentazione più equilibrata, magari riducendo i grassi saturi o aumentando l’apporto proteico, si trova a navigare a vista senza bussola.
La composizione reale: uno sguardo dietro le quinte
La produzione del salame prevede tradizionalmente l’utilizzo di diverse componenti animali, principalmente suino: carne magra tipicamente da spalla o coscia, grasso di copertura come lardo o pancetta, spezie e starter colture. Il problema sorge quando la percentuale di carne magra scende sensibilmente, compensata da un aumento di grasso suino che può superare il 30-40% del peso totale in alcuni prodotti industriali. Alcuni prodotti contengono acqua aggiunta, che può arrivare fino al 5-10% in certi casi, e una serie di additivi come stabilizzanti o conservanti che contribuiscono al peso complessivo senza apportare valore nutrizionale significativo.
Questa composizione variabile si riflette direttamente sui valori nutrizionali. Un salame con alta percentuale di carne magra, del 70% o più, può contenere 25-30 grammi di proteine per 100 grammi di prodotto, mentre uno ricco di tessuto adiposo, con grasso superiore al 35%, potrebbe fermarsi a 15-18 grammi, con un contenuto di grassi saturi che schizza verso l’alto, arrivando fino a 30-40 grammi per etto.
Perché questa informazione viene omessa
Non esiste un complotto dietro questa mancanza informativa, ma piuttosto una combinazione di fattori normativi e commerciali. Le normative europee stabiliscono requisiti minimi per la produzione di salumi, come il contenuto minimo di carne suina, ma lasciano ampi margini di manovra sulla composizione precisa. I produttori non sono tenuti a dichiarare esplicitamente la percentuale di carne magra utilizzata, a meno che non vogliano valorizzare questo aspetto come elemento distintivo del prodotto.
Il risultato è che due salami apparentemente identici possono avere composizioni profondamente diverse, con implicazioni sostanziali per chi li consuma regolarmente.

Come orientarsi nella scelta consapevole
Fortunatamente, anche in assenza di indicazioni esplicite nella denominazione, esistono strumenti per fare scelte più informate. La tabella nutrizionale rappresenta il primo alleato: confronta il contenuto proteico, idealmente superiore a 20 grammi per 100 grammi, e quello di grassi saturi, che se inferiore a 25 grammi per etto indica minor grasso. Un rapporto favorevole con proteine alte e grassi saturi bassi indica maggiore presenza di carne magra.
L’elenco degli ingredienti merita attenzione: se il grasso suino compare tra i primi ingredienti, significa che è presente in quantità rilevante, dato che gli ingredienti sono elencati in ordine decrescente di peso. Quando presente, la dicitura “parte magra”, ad esempio “70% carne magra”, indica un’attenzione alla selezione delle carni utilizzate e un minor contenuto di grasso.
Spesso esiste una correlazione tra qualità della carne utilizzata e prezzo finale, con prodotti premium che superano i 20 euro al chilo contenenti maggiore magro e meno scarti. Anche l’osservazione visiva aiuta: un salame molto chiaro e dalla tessitura eccessivamente untuosa o compatta può indicare alta percentuale di grasso, mentre quello con più magro appare più rosato e ben distribuito.
L’impatto sulla salute e sulle scelte alimentari
Le differenze compositive non sono un dettaglio trascurabile. Per chi segue diete controllate o ha necessità di monitorare l’apporto di grassi saturi per ragioni cardiovascolari, acquistare un salame pensando di assumere principalmente proteine quando in realtà si sta consumando prevalentemente grasso rappresenta un problema concreto. Le linee guida nutrizionali raccomandano di limitare i grassi saturi a meno del 10% dell’apporto calorico totale, e i salumi di qualità inferiore possono contribuire significativamente a superare questa soglia.
Chi pratica sport o segue regimi alimentari iperproteici potrebbe essere indotto in errore, consumando porzioni più abbondanti per raggiungere la quota proteica desiderata, finendo però per assumere quantità eccessive di grassi e sale, che nei salami si attesta tipicamente tra 2 e 4 grammi per etto.
Verso una maggiore trasparenza
Il settore della tutela dei consumatori spinge da tempo per una maggiore chiarezza nelle etichette alimentari. Alcune realtà produttive hanno già iniziato a indicare volontariamente la percentuale di carne magra utilizzata, come “minimo 60% parte magra”, rispondendo a una domanda crescente di trasparenza. Questa tendenza rappresenta un passo avanti significativo, ma rimane circoscritta a una nicchia di mercato.
Come consumatori, possiamo accelerare questo processo premiando con i nostri acquisti le aziende che scelgono la strada della chiarezza informativa. Ogni volta che optiamo per un prodotto che dichiara esplicitamente la composizione, inviamo un segnale preciso al mercato.
La prossima volta che ti trovi davanti al banco salumi del supermercato, ricorda che quella denominazione apparentemente semplice nasconde scelte produttive che impattano direttamente sulla qualità nutrizionale di ciò che mangi. Dedica qualche minuto in più alla lettura dell’etichetta: il tuo organismo te ne sarà grato, e contribuirai a costruire un mercato più trasparente per tutti.
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